Prefazione Paolo Gulisano
Coraggioso avventuriero delle Terre del Linden, in questa pagina leggerai la Prefazione Paolo Gulisano, critico letterario Fantasy più apprezzato in Italia. Egli ha recensito diversi titoli di questo genere, e nel secondo libro di Àntica, mi Sveglio nella Luce ha scritto splendide parole. A te, avventuriero, gli scritti: Prefazione Paolo Gulisano.
La Saga di Àntica continua. Il filone fantastico aperto da Agostino Mano, giovane promessa della Letteratura Fantasy italiana, in questo volume offre ai lettori il secondo episodio.
Ritroviamo i Cavalieri della Luce, questo Ordine di valorosi guerrieri, un po’ templari, un po’ Jedi, un po’ cavalieri del Graal, e… altro ancora. Ritroviamo il loro spirito, riassunto in quel motto che mette i brividi: “La mia luce alle stelle, la mia vita al Re, e l’onore a me”.
La narrazione di Agostino Mano si arricchisce di tutte le caratteristiche del meraviglioso: il mondo del soprannaturale, con angeli e demoni, ma anche spiriti e folletti, in diretto contatto col mondo della normale umanità vivente, come lo erano stati nella cultura medievale, la cui eco è avvertibile nelle pagine del romanziere calabrese.
Lo spettacolo offerto da tali pagine è a disposizione di tutti i lettori, come realtà quasi tangibile, purché si possiedano occhi in grado di saper guardare, scorgendo i segni dell’invisibile all’interno della quotidianità.
Mano sa riprendere alcuni tra i temi fantastici più frequenti nella letteratura medievale: il racconto delle gesta degli eroi, il viaggio come prova quasi iniziatica, come Cerca.
La cerca più nota è quella del Sacro Graal, il calice in cui venne raccolto il sangue di Cristo, un’avventura spirituale che è il simbolo della ricerca della perfezione interiore. Il viaggio oltremontano poi, è diretto o verso un aldilà spirituale, come nel caso della Commedia dantesca, o di analoghi poemi persiani, oppure verso le cosiddette Isole della felicità, o Isole dei beati di cui parla la mitologia celtica.
Storie che, nella loro fervida immaginazione, hanno il pregio di non dimenticare le questioni fondamentali del vivere umano. Sta tutto qui il loro fascino, quello che fa produrre ancora nuove spettacolari versioni del mito: non è una pura evasione dalla realtà per rifugiarsi nella fantasia, ma è forse l’occasione per volgere lo sguardo verso cose grandi, verso noi stessi e la nostra anima assetata di Bellezza, verso le stelle, cercando i segni del nostro destino. Come ci ha insegnato il grande creatore di miti J.R.R. Tolkien, la letteratura dell’immaginario può essere lo specchio dei gusti, degli umori e addirittura della condizione psicologica dell’epoca moderna, esprimendo i dubbi, le paure, le domande insoddisfatte, le esigenze profonde dell’animo umano. I miti, i simboli, le leggende e le tradizioni ci rivelano noi stessi, e il mito e il simbolismo medievale di Artù forse più di ogni altro.
Al centro di tutto il Medioevo c’era il simbolo: la vita dell’uomo medievale era inscritta in un universo simbolico, dove ogni forma del pensiero, artistica, mistica, teologica, si basava su di esso. L’esperienza quotidiana era esperienza spirituale, nutrita dai simboli che la provocavano, la animavano, le conferivano un valore profondo. L’abilità narrativa e la fervida immaginazione di chi scolpiva le cattedrali gotiche, con i suoi mostri e le sue creature fantastiche, o di chi scriveva la storia della Cerca del Santo Graal o le peripezie di un re e della sua spada incantata adoperavano il linguaggio del simbolo, che trasfigurava la realtà stessa, ed è stato capace di mantenere la sua intensità e il suo valore, trascorrendo, inattaccabile, il tempo e la storia. Il lettore disincantato di oggi viene quindi provocato opportunamente dalle antiche, fantastiche leggende, collocate in una loro ambientazione storica, in cui tuttavia ci si imbatte in personaggi e figure leggendarie e straordinarie, lasciando anche qualche interrogativo non del tutto ozioso: quanto ne sappiamo veramente del passato? Quali misteri si celano nella nostra storia? Quanto c’è rivelato effettivamente dai testi ufficiali? Nel divertirci con le appassionanti vicende che coinvolgono i personaggi, tra toni epici e avventure emozionanti, ci possiamo ritrovare a indagare tra i meandri del nostro passato, ricordandoci che, come diceva il grande Shakespeare, “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che nella tua filosofia”. Il racconto fantastico, dunque, sia che si tratti di fiaba o di narrazione epica, di leggenda come di racconto “gotico”, sospeso tra il misterioso e il terribile, è sempre in qualche modo espressione umana sottesa tra il sacro e il profano, a partire dal linguaggio, che reca sempre in sé le tracce di arcaici miti, fino ai contenuti, che sono comunque e sempre quelli del fantastico, ossia dell’irruzione, oscura e inquietante, oppure solare e confortante, di un evento soprannaturale nella realtà quotidiana.
Non c’è generazione di lettori (o di spettatori) la quale, a dispetto di tutte le mode, non senta la suggestione dell’elemento fantastico, mitico, fiabesco: un tipo di letteratura portatrice di una sapienza antichissima.
Àntica – appunto – è la terra incantata in cui ci porta Mano, con le sue spade, i suoi cavalieri, le sue guerre, i suoi eroi.
Il lettore imparerà ad amare La montagna sacra, a conoscere La Signora dei Draghi, Re Elvnor, Mishi, i grandi draghi, e comprenderà che il passato non è quello che sembra…
Forse è proprio questo il segreto dell’affascinante storia di Mano: dobbiamo imparare a cogliere i segni, a decifrarli, a non farci ingannare.
Una storia dove si rappresenta ancora una volta il dramma più antico della storia: il conflitto tra Bene e Male, tra luce e ombra.
Già visto, dirà qualcuno? Non lo si è visto mai abbastanza, si potrebbe rispondere. E infatti l’uomo che non impara dagli errori della storia è destinato tristemente a ripeterli.
Un Fantasy, quello della Saga di Àntica, dove troviamo figure classiche, quasi archetipiche: detto dei cavalieri, bisogna citare anche i draghi. Il drago: il nemico, l’antagonista per eccellenza. Pochi sono gli animali simbolici dallo statuto tanto ricco e dall’aspetto tanto variabile quanto il drago: ha le sembianze di un enorme rettile, ma rispetto al serpente (simbolo cristiano del male personificato da Satana) esso possiede delle zampe, è alato e vomita fuoco dalle fauci. Il drago è dunque unico, nel panorama della fauna simbolica, a presentarsi in contatto con tutti e quattro gli elementi che gli antichi ritenevano costitutivi della natura: la terra attraverso le zampe; l’acqua, con la coda simile a quella di un pesce e che usa come un timone; il fuoco, che esce dalla sua bocca, e infine l’aria nella quale si libra per mezzo delle sue ali. Il drago dunque è nei cieli,persino tra le stelle dove c’è una costellazione che porta il suo nome; è negli abissi acquatici, nei mari o in profondi e oscuri laghi.
Nella tradizione germanica il drago è il nemico che l’eroe, Beowulf o Sigfrido, deve affrontare. Un avversario ma allo stesso tempo un iniziatore. Nella leggenda nordica il drago insegna all’eroe la lingua segreta degli uccelli, metafora della sapienza, e gli dona l’invulnerabilità grazie ad un bagno nel suo sangue. Nel pensiero cristiano antico gli elementi della tradizione simbolica del drago sono la sapienza e la potenza, che diventano tuttavia energie terribilmente negative in quanto messe al servizio della malvagità. La forza del drago deve essere dunque imbrigliata, o annientata. La lotta di San Giorgio, patrono della cavalleria, è quella del modello di cavaliere impegnato contro il male, lotta cosmica e apocalittica.
In qualche modo il drago, che è un rettile, possiede la proverbiale astuzia del serpente.
Il drago è l’antagonista per eccellenza di ciò che rappresenta l’aquila: questa simboleggia la luce, il cielo, le forze superne, mentre il serpente è l’oscurità, la terra, le forze ctonie.
Così, tra duelli ancestrali, prove e scalate simboliche, il mondo di Àntica accoglie chi vi fa ingresso. “Se lo cercate non lo troverete. Se ascoltate non lo sentirete…”.
In queste enigmatiche parole si cela il segreto di questa saga. Al lettore il compito di scoprirne il significato.
Prefazione Paolo Gulisano